Qual è la migliore arte marziale?
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Una domanda ricorrente
Tipicamente dai neofiti, mi sento spesso domandare “qual è la migliore arte marziale?”. Al di là delle preferenze personali, trovo sia poco evidente dare una risposta anche perché questa genera una nuova domanda.
Esiste una grande varietà di arti marziali originata per esempio dalla loro provenienza, dai loro fondatori e dal momento storico in cui sono state ideate e quindi dalle esigenze alle quali esse hanno cercato di dare risposta.
Le cosiddette arti marziali “tradizionali” preservano e tramandano tecniche risalenti a secoli passati. Le discipline più recenti, originate pochi decenni o anni or sono, progongono tattiche più attuali. Fra le più recenti vi è anche il karate come lo conosciamo oggi. Ogni disciplina propone approcci diversi in modo più o meno “scolastico”. Le arti marziali veicolano una grande varietà di tecniche e sistemi, ma tutte sono accomunabili per i loro principi, ovvero ciò che davvero conta secondo il mio parere.
I principi
Le arti marziali orientali hanno come obbiettivo la fine della violenza. Potremmo definire questo obbiettivo come il loro principio fondante.
Prendiamo in considerazione il kanji (“carattere cinese”) 武 che in giapponese si pronuncia “bu” oppure “take”. Comunemente esso significa “arte marziale”, ma letteralmente significa “fermare la lancia” (si veda anche un articolo correlato su Wikipedia).
Le arti marziali orientali, diversamente dal termine latino che indica la guerra, si definiscono già attraverso la parola che le indica come l’arte della fine della violenza.
Il kanji 武 si applica a diverse arti marziali cino-giapponesi. Per citarne una fra tante, il wushu cinese (武術 detto “bujutsu” in giapponese) usa questo kanji. Il significato letterale di questa parola è “l’arte di fermare la lancia” oppure “l’arte di fermare la violenza”.
Come si ferma la violenza?
Diverse scuole di arti marziali prevedono una risposta a questo problema, ma non andrebbero considerate solo per la varietà delle tecniche che propongono, bensì per i principi che ad esse sono sottesi.
Le arti marziali adottano almeno due principi, quello della durezza e quello della cedevolezza. Sono principi applicabili sia in un contesto conflittuale fisico, sia in un contesto, per così dire, psicologico.
Diverse arti marziali si servono del condizionamento corporeo, rinforzando la muscolatura del praticante, oppure la sua ossatura, percuotendo, per esempio, superfici dure. Quest’ultima pratica permette di aumentare la densità ossea grazie alla cosiddetta “Legge di Wolff”. In poche parole la rigenerazione delle microfratture generate dalle percussioni rende più densa la porosità delle ossa rendendole simili alla pietra.
La flessibilità muscolare è un’altra componente fondamentale della preparazione del marzialista che perciò si sottopone ad esercizi di stretching che migliorano la sua mobilità e lo preservano dagli strappi.
Questi principi si estendono alla tecnica. Esistono infatti tattiche che tendono a distruggere gli attacchi ed altre che li eludono, facendoli cadere nel vuoto o sfruttando la loro energia.
La predilezione per una o per l’altra tattica dipende dalla costituzione fisica del praticante e dalla sua indole, come pure dalla sua cognizione strategica generale, lo stesso vale per le diverse scuole marziali poiché concepite da persone e personalità diverse, vissute in contesti e momenti storici diversi. La scuola di karate Gōjūryū (剛柔流 “Scuola dura e cedevole”), per esempio, si fonda su ambedue i principi.
La strategia che però si rivela sempre vincente è quella di evitare o prevenire ogni scontro, vale anche per i conflitti psicologici, qui rimandati, e questo è davvero il fondamento di ogni arte marziale giacché da ogni tipo di combattimento difficilmente si esce illesi e le conseguenze non sono necessariamente prevedibili.
Evitare le conseguenze di uno scontro
Lo scopo principale di ogni arte marziale è dunque quello di preservare la salute e l’integrità delle persone e a questo solido principio si affianca la filosofia buddista insita in molte arti marziali orientali. Per questo motivo ogni disciplina marziale che voglia definirsi tale si cura sia delle questioni fisiche e tecniche, sia della psiche e dello spirito del praticante.
Ha quindi senso rivolgersi alle arti marziali per la loro componente legata alla difesa personale? Sì, ma questa per dare veramente i suoi frutti deve essere intesa in senso molto ampio.
Un buon praticante dovrà curare sia la propria preparazione fisica, sia la propria maturazione intellettiva e psichica attraverso l’esercizio fisico regolare, la pratica ripetuta delle diverse tecniche e la formazione intellettuale e morale. Studio delle tecniche, preparazione fisica e cura del corpo, dunque, ma anche cura della propria mente attraverso lo studio inteso nel senso più comune e una vita sociale “sana”.
Si può per questo concludere che l’obbiettivo strategico delle arti marziali è quello di prendersi cura di se stessi e degli altri per prevenire i conflitti e, se questo è davvero inevitabile, preparare quanto meglio possibile il praticante ad affrontare uno scontro.
Si può valutare l’efficienza di un’arte marziale?
Detto ciò, si rivela impreciso reputare “efficienti” o “inefficienti” le une o le altre arti marziali in uno scontro, per così dire, “reale”. Semmai lo sono i praticanti che sono tuttavia soggetti all’imprevedibilità della vita.
Per fare un esempio concreto, le tecniche di jūjitsu classico contemplano molte prese ai polsi e conseguenti liberazioni. Naturalmente questo genere di tecniche forse non risulta molto utile nel corso di una scazzottata odierna.
Dovremmo comunque chiederci come mai siamo finiti in una scazzottata o perché temiamo di finirci.
L’efficacia delle arti marziali va relativizzata. Al tempo dei samurai era probabilmente molto più utile sapersi liberare dalle prese come pure bloccare i polsi dell’avversario. Questo perché i samurai usavano le loro letali spade katana ed era fondamentale impedire che venissero sguainate. Viceversa, per avere la meglio su un avversario era indispensabile avere mani e polsi liberi per usare la spada. I polsi, anche perché meno protetti dalle armature, erano un obbiettivo primario. Tornando ad oggi, può comunque capitare, in contesti particolari, di essere presi per i polsi ed essere strattonati. È dunque utile sapersi anche divincolare. Non escluderei per questo la conoscenza di alcuna tecnica, nemmeno di quelle che paiono essere un mero esercizio filologico.
Le aggressioni odierne
Infine, prendendo in considerazione le possibili aggressioni odierne, va detto che esse sono per lo più subdole, perpetrate di sorpresa, possibilmente da persone in maggioranza numerica, in modo imprevedibile e in situazioni svantaggiose per l’aggredito che si presenti come vittima perfetta.
Per quanto un marzialista possa essere preparato, in condizioni molto avverse è davvero difficile lottare o parare i colpi. Per questo la fuga può essere una tattica davvero utile e per nulla indegna. Per lo stesso motivi gli animali aggrediscono solo quando non possono fuggire e i loro combattimenti per la difesa del territorio o per il contendimento delle femmine sono per lo più “ritualizzati”. Sono dunque sempre fondamentali la prevenzione, la cognizione del pericolo e la pratica costante.
Considerando il fatto che qualsiasi predatore sceglie la preda più debole, è utile mantenere un atteggiamento deciso e rilassato, mostrare un carattere e un fisico solido e flessibile per non apparire quale vittima potenziale. È indispensabile soprattutto non esporsi a situazioni svantaggiose o a pericoli. Per questo le arti marziali si occupano della condizione fisica, intellettiva, psichica e spirituale dei praticanti ed è proprio questo il denominatore che le accomuna tutte.
Per questo quando mi chiedono qual è la miglior arte marziale pongo un’altra domanda: “perché vuoi praticare le arti marziali?”.